Legnano, borgo agricolo specializzato nella macinazione dei cereali nei numerosi mulini lungo l’Olona, tra XIX e XX secolo conobbe un eccezionale sviluppo industriale che ne modificò profondamente il volto trasformando i mulini in opifici e delineando l’intera struttura quale ‘città-fabbrica’, modellata sulle esigenze dell’industria.

Grazie a una posizione strategica da Milano al passo del Sempione adatta agli scambi esteri, in una zona – l’Alto Milanese – con una lunga tradizione artigianale e manifatturiera (anche per la scarsa fertilità della terra) e con disponibilità di manodopera a basso costo, negli anni Venti dell’Ottocento, con l’avvento della filatura meccanizzata con macchinari mossi dall’acqua, vide la nascita dell’industria tessile lungo l’Olona, grazie a investitori stranieri che impiantarono i primi opifici nei preesistenti mulini, trasformandoli in “fabbriche in verticale” multipiano, compatte e sviluppate in altezza, integrate, senza molti contrasti, nel centro abitato. 

Dalle prime filature di cotone Borgomanero, Martin, Krumm e Cantoni e dalle filande seriche Imhoff, Ronchetti e Kramer, in pochi decenni si passò ai primi nuclei di quelle che diventeranno le più importanti ditte tessili ad opera di imprenditori locali, tra cui i cotonifici Cantoni (1829), Bernocchi (1868), F.lli Dell’Acqua (1871) e Frua Banfi e C. (1879), poi Stamperia Italiana De Angeli Frua, localizzati lungo il fiume o nel tessuto storico. 

Negli anni Ottanta dell’Ottocento l’avvento della tessitura meccanizzata e la necessità di manutenzione delle macchine condusse a una seconda fase di industrializzazione, favorita anche dall’arrivo della ferrovia e della tramvia Milano-Gallarate, con la nascita dell’industria meccanica, inizialmente con la Franco Tosi (prima Cantoni Krumm), cui si aggiunsero la fonderia in ghisa A. Pensotti vicino alla ferrovia (1881, cui dal 1905 si sommerà l’officina meccanica in via 29 maggio), la F.lli Bombaglio (1886) in via Gaeta e le Officine Eugenio Gianazza (1892) sul Sempione.

Ai primi del Novecento l’elettrificazione dei macchinari, con la Centrale Idroelettrica di Vizzola Ticino e la Società Lombarda di Castellanza, permise un ulteriore passo in avanti che portò alla modernizzazione ed ampliamento dei cotonifici esistenti, ma anche alla nascita di nuovi complessi tessili o loro succursali (tranne le manifatture seriche, che scomparvero), tra cui le tessiture Agosti in via R. Pilo e Vignati sul Sempione (1900), la Manifattura di Legnano (1901) in via Lega, la Giulini e Ratti in via Guerciotti (1905), e molte altre, accrescendo l’importanza dell’industria cotoniera locale, tanto che la cittadina fu soprannominata “piccola Manchester di Lombardia”, specializzandosi come polo tessile e tintorio, cosa che purtroppo contribuì all’inquinamento del fiume Olona

Contemporaneamente sorgevano officine meccaniche e fonderie intorno alla Tosi, ma anche tentativi pionieristici nell’industria automobilistica – tra cui la FIAL (1906), poi acquisita dalla SAM – Società Automobili Motori, e la Wolsit (1907), che presto ripiegò sulle biciclette (poi bici “Legnano”) – o nel settore chimico, tra cui l’Elettrochimica Rossi (1908) per gli esplosivi.

Lo sviluppo industriale continuò incessante negli anni Venti e Trenta, favorito dall’arrivo dell’autostrada nel 1924 (anno in cui Legnano diventava città): le maggiori industrie si ampliarono sempre più imponendosi a livello nazionale e aprendo ulteriori sedi in periferia o in altri siti, affiancate dalla proliferazione di piccole e medie imprese, spesso fondate da personale formatosi nei grandi stabilimenti e sostenute da Istituti di Credito locali. 

Legnano diventava così uno tra i maggiori e più avanzati centri industriali, con un sistema economico e produttivo diversificato, un incremento demografico tra i più alti in Italia (da 7.000 abitanti nel 1880 a circa 35.000 negli anni Trenta) e una prevalenza della grande industria, che richiamava manodopera femminile e minorile negli stabilimenti tessili e maschile in quelli meccanici.

Ci fu una trasformazione urbanistica del borgo, che si accrebbe tra il nucleo storico e i due assi dell’industria (l’Olona per il tessile e la ferrovia per la meccanica), per poi espandersi in periferia, con la progressiva realizzazione di strade, reti e infrastrutture, oltre che di imponenti opere di canalizzazione del fiume per salvaguardare le industrie dalle piene, in un paesaggio caratterizzato da una ‘selva di ciminiere’ e un tessuto ‘misto’ di “opifici, residenze, case operaie posti l’uno accanto all’altro, quasi amalgamati e in funzione reciproca”. 

I nuovi edifici industriali erano “fabbriche orizzontali” costituite da distese di capannoni a “shed”, con reparti distinti per ciascuna lavorazione, di dimensioni eccezionali rispetto al tessuto storico, quasi a manifestare il peso economico e sociale dell’azienda: la cosiddetta “architettura del mattone e del ferro”, con facciate monumentali e storiciste in mattoni a vista e grandi infissi in ferro e vetro, internamente con spazi funzionali e flessibili appositamente studiati per i macchinari, suddivisi da colonnine in ghisa o strutture in cemento armato (negli stabilimenti tessili) e metalliche (in quelli meccanici), che garantivano sicurezza in caso di incendio, facilità di comunicazione tra reparti e miglior sorveglianza. 

Nel secondo Dopoguerra il boom economico vide fiorire le piccole e medie imprese, spesso poste a fianco della residenza all’interno del tessuto urbano, mentre la maggior parte delle grandi aziende tessili, a causa di una crisi del settore, chiusero progressivamente a partire dagli anni ‘60, con la conseguente demolizione di molti edifici produttivi, sostituiti da complessi residenziali, a terziario o verde pubblico, processo ancora oggi in atto. Di questo patrimonio industriale oggi sopravvivono rari fabbricati ancora utilizzati, mentre altri giacciono in condizioni di abbandono in attesa di riuso, mentre sporadiche tracce – derivanti dalle demolizioni dei grandi complessi industriali – faticano a testimoniarne la grandiosità passata.

Patrizia Dellavedova

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