Fondata nel 1901 da Enea e Febo Banfi, Giuseppe Frua e Mariano delle Piane quale filatura per numeri fini di cotoni egiziani, nacque inizialmente in stretta relazione alla Società Frua e Banfi (poi Stamperia De Angeli Frua), ove si svolgevano le operazioni di tessitura e stamperia e a cui era connessa mediante cunicoli sotterranei.
A differenza dei cotonifici lungo l’Olona essa si installò nel centro cittadino in un’area parzialmente occupata da fabbricati preesistenti, tra cui un ex monastero del ‘400 trasformato nel ‘700 in residenza estiva nobiliare (prima Cambiaghi e poi Brivio) e nell’800 in filanda di seta.
L’edificio principale, destinato a filatura di cotone, fu realizzato tra 1901 e 1903 utilizzando tecnologie, progetti e – si tramanda – mattoni inglesi (negli archivi è stato reperito un disegno a firma Mather & Platt – L. Park Works di Manchester). Esso riprendeva il linguaggio del vicino stabilimento Frua Banfi (il “Castellaccio”), volto ad esprimere la potenza e solidità dell’azienda: la cosiddetta ‘architettura del mattone e del ferro’, di mole massiccia in mattoni a vista e cornici in cemento, torri angolari di raccolta acqua antincendio, ampi finestroni ad arco ribassato, dettagli ricercati come i capochiave o i doccioni dei pluviali. Internamente tra una fitta maglia di colonnine in ghisa trovavano posto i macchinari, coperti da shed – orientati verso nord – che, sorretti da travi reticolari, illuminavano gli spazi di lavoro garantendo il ricambio d’aria.
Lo sviluppo dell’azienda portò all’immediata realizzazione di ulteriori edifici di servizio (magazzini per il cotone, sala mischia, uffici e portineria, autorimessa, officina), sempre però rispettandone lo stile originario, almeno fino agli anni Trenta, quando fu edificato un corpo su via Lega ad uso refettorio e lavanderia – su progetto dell’arch. Giorgio Laneve – in un linguaggio più moderno e funzionale, che caratterizzerà gli interventi edilizi successivi dell’arch. Elido Provasi, fino alla costruzione – in seguito al boom economico del Dopoguerra e all’apertura di altri siti produttivi – di un nuovo capannone per una nuova fase di lavorazione (la ritorcitura).
Caso unico a Legnano, la Manifattura rappresentava una cittadella fortificata autonoma e autosufficiente ove, oltre agli edifici produttivi e amministrativi e alla villa del direttore, vi erano spaccio, refettorio, lavanderia, abitazioni operaie e serre, e – in relazione alla presenza di giovani fanciulle nel ciclo lavorativo – ambulatorio, chiesa, oratorio, teatro, asilo e convitto, il tutto gestito dalle suore di Maria Ausiliatrice: una sorta di ‘città sociale’ che permetteva il controllo delle dipendenti in ogni momento della giornata, non solo lavorativa.
Vi erano poi – oltre la ferrovia – abitazioni operaie, tra cui gli edifici a schiera di via Rossini, i caseggiati pluripiano di via Gaeta e il villaggio giardino attorno al campo sportivo di via Lodi (realizzato anni prima dalla Tosi e Bernocchi), che ospitava anche la bocciofila dopolavoro.
L’azienda, inizialmente diretta da Mariano Delle Piane, vedrà avvicendarsi vari personaggi alla direzione fino ad Achille Roncoroni, che, dagli anni ’50, la renderà leader nel settore dei pregiati filati pettinati di cotone, permettendole di superare la crisi economica degli anni ’70, fino alla chiusura nel 2008. Oggi, acquistata all’asta, è in attesa di riconversione. Simbolo della fabbrica è la ciminiera, che si eleva per 78 m quale unica superstite delle innumerevoli che costellavano il panorama legnanese, simbolo di un passato tessile ormai scomparso.
Patrizia Dellavedova